Quando avevo undici anni presi l’abitudine di scrivere in minuscolo anziché in corsivo. Quell’anno era morto il nostro amatissimo nonno Vittorio. Era la prima volta che assistevo lucidamente alla morte di un familiare, all’incapacità degli adulti di gestire la situazione con noi piccoli, alle lacrime di mio papà. Il suo studio, nella casa di Capranica, era disseminato di foglietti di ogni misura nei quali nonno appuntava lezioni, interventi nelle scuole, riflessioni, salmi, preghiere, tutti scritti in alfabeto minuscolo. Mi piaceva quella grafia ordinata, minuziosa, serena. C’era qualcosa che mi richiamava, che mi chiedeva di farmi carico di un pezzo della nostra storia e di continuare a portarla sulle mie spalle, come ci eravamo ripromessi di fare con i racconti del lager. Così, aiutandomi con un vecchio gagliardetto della Roma che recava una grande scritta in minuscolo “as roma”, iniziai dapprima a ricalcare e poi a replicare i caratteri minuscoli. Con il nuovo anno scolastico ero in grado di scrivere interi temi in minuscolo. Diversi anni dopo ripresi in mano le sue lettere dal Lager e scoprii con commozione una noticina nella quale nonno raccontava di aver iniziato a scrivere in minuscolo per poter sfruttare al massimo le poche severissime righe delle cartoline con cui poteva far arrivare, previa censura, qualche notizia fuori dal campo. Quest’anno nonno Vittorio avrebbe cento anni. A Capranica, tra i libri, c’è un cassetto. Dentro c’è ancora un pezzetto di filo spinato di Bergen-Belsen, un cartello con scritto “Verboten”, una medaglietta, tante lettere e minuscoli appunti. Ogni tanto passo da lì e riapro quel cassetto, prendo in mano il pezzo di filo spinato, le lettere e gli altri maledetti ricordi. Il silenzio, i pensieri, le immagini sfocate, è come se mi rendessi conto e sentissi scorrere nel mio sangue quella storia. Oggi andrò al museo di via Tasso, dove saranno distribuite le ultime copie del suo libro “Il nazismo e i lager” e lì, e poi al ghetto, ricorderò i due nonni prigionieri, i fratelli della comunità ebraica di Roma, e tutte le vittime del nazifascismo. Ora. E sempre.
P.S.
E se ci ritroveremo ad essere in tanti manifestare la nostra voglia di non dimenticare, non credo proprio che ci riterremo spammer. E tanto meno, figuriamoci, fascistoidi. Questo vale on real come on line.
Anche a noi allievi e futuri collaboratori tuo nonno parlava sempre del lager e mentre parlava la bocca si piegava in una smorfia di tristezza, a volta invece gli scappava uno di quei sorrisetti celestiali,di chi non è rassegnato ,ma ha capito e contestualizzato e non ha mai perso la speranza.Diceva che il dolore che piu’ lo sconvolgeva era quello dei bambini e degli animali, perchè, immagino volesse dire,contrariamente a lui ed a molti adulti ,i piccoli e gli animali erano incapaci ,appunto,di contestualizzare , di sperare e di aver fede.Raccontava e la sua lunga barba ondeggiava un po’ al ritmo dei suoi pensieri.
Ciao Tommaso
Molto bello.Ho citato un pezzo ( senza chiedere, sorry ) qui:
http://fulvioichestre.blogspot.it/2013/01/n1034-memoria.html
[…] Da: “#memoria” gennaio 27, 2013 di Tom.Mi Giuntella https://tomgiu.wordpress.com/2013/01/27/memoria/ […]
[…] Da: “#memoria” gennaio 27, 2013 di Tom.Mi Giuntella https://tomgiu.wordpress.com/2013/01/27/memoria/ […]
Ho letto con emozione Tommi, mi hai fatto rivivere emozioni della mia infanzia, quando anch’io curiosavo tra i cassetti e gli appunti di mio nonno Italo, comandante partigiano, rivivendo, dopo la sua morte, i racconti e le storie di sofferenza vissute durante la loro guerra di libertà.
Sei molto fortunato ad avere una famiglia così…